E’ più facile dire un sì che un no. Un vecchio adagio che si sposa benissimo con la situazione attuale di tanti genitori che per debolezza o stanchezza non riescono ad imporsi sui propri figli. I padri e le madri sono divenuti troppo “amici” dei figli. Questa grande vicinanza affettiva tra genitori e bambini comporta però anche dei rischi, che sono sovente sottovalutati. Essa può infatti tradursi in un contagio emotivo, nel provare cioè le stesse emozioni dei figli, con una immedesimazione totale che rende gli adulti incapaci di svolgere il loro ruolo educativo. Quest’ultimo comporta la necessità di porre delle regole, e di conseguenza anche dei divieti, senza accettare ogni richiesta infantile.
Si tratta di un ruolo intrinsecamente asimmetrico, nel quale spetta al genitore prendere l’iniziativa, secondo i suoi
valori e obiettivi educativi. In particolare, il contagio impedisce di fare fronte alle emozioni negative dei bambini, frequenti e del tutto normali quando questi incontrano un ostacolo ai loro desideri. In concreto, si tratta di reazioni di pianto, rabbia, tristezza.
Ancor più non viene accettato il fatto di essere la causa diretta di queste emozioni, suscitate dalle regole e dalle proibizioni che il genitore fornisce. Si preferisce di conseguenza un atteggiamento di totale disponibilità e condiscendenza al volere dei piccoli, basato sul desiderio di evitare loro ogni emozione negativa. In realtà è perlopiù il genitore a non riuscire a sopportare il disagio che prova di fronte alle emozioni del bambino, a causa del contagio; si tratta quindi, a ben vedere, più di una protezione della propria persona che del bambino. Il risultato è l’accettazione di ogni richiesta che arriva dai piccoli, anche quando essa può comportare dei danni.
Un esempio pratico di quello che stiamo dicendo lo possiamo ritrovare in auto, nel mancato rispetto delle norme sulla sicurezza in auto e in particolare sull’uso dei seggiolini, obbligatori in Italia già da parecchi anni. Molti bambini non vogliono allacciare le cinture o stare sui seggiolini per auto e mostrano insofferenza nei confronti di questi dispositivi. I genitori cosa fanno? Incapaci di affrontare il loro disagio, li assecondano, correndo il rischio di incidenti gravi e anche mortali. I dati ufficiali dell’Istat sono a questo riguardo illuminanti.
La maggioranza dei genitori (60%) non usa per niente il seggiolino per i propri figli o non lo usa in modo corretto; di conseguenza meno della metà dei bambini viaggia in modo sicuro. L’età maggiormente critica risulta quella dai 3 ai 7 anni. Come conseguenza, sono circa 11 000 all’anno i bambini (da 0 a 14 anni) feriti in incidenti stradali, dove riportano il più delle volte traumi cranici, al torace e addominali. Questi incidenti sono tuttora la prima causa di morte in età evolutiva, al di sopra dei 5 anni. Infatti il rischio di morte, nel caso in cui un bambino non sia assicurato con gli appositi sistemi, cresce rapidamente e viene valutato in sette volte superiore a quello di un coetaneo che usa il seggiolino secondo le norme.
Il caso del trasporto dei bambini in auto è l’esempio più evidente di come l’assertività nei confronti dei desideri dei piccoli possa portare a conseguenze molto gravi. Il genitore rinuncia in questi casi al suo dovere primario di proteggere la vita e l’integrità fisica del figlio; allo stesso tempo, espone anche se stesso al rischio di una sofferenza ben maggiore. Si baratta l’effimera serenità di un momento, per l’incapacità di fronteggiare con tranquillità e fermezza la reazione negativa del piccolo, con il rischio di un malessere molto più grande e duraturo. Non c’è quindi alcun vantaggio né per i bambini né per i genitori.
L’esempio dei seggiolini mostra la concreta necessità di vivere – e recuperare nel caso si sia perso – un rapporto autorevole tra genitori e figli, nella quotidianità della vita. L’autorevolezza, a differenza dell’autoritarismo, contempla sì un’intensa relazione affettiva e una grande attenzione al bambino e ai suoi vissuti, ma non rinuncia all’assunzione di responsabilità educativa da parte dell’adulto, come avviene invece nell’educazione permissiva e condiscendente. Una rinuncia che priva il bambino del sostegno educativo dell’adulto, lasciandolo di fatto solo e senza protezione.
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